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Tipologia di formaggi siciliani

La Sicilia vanta un’antica tradizione casearia e dispone di varietà molto interessanti sia nella forma che nella lavorazione.

CACIOCAVALLO RAGUSANO
Il Caciocavallo Ragusano è uno dei formaggi più antichi della Sicilia. Il nome Cascavaddu (Cacio a Cavalcioni) si pensa che derivi dalla tecnica di asciugatura che avviene su un asse tipico della zona. Formaggio dal sapore amabile e intenso ma delicato e particolare, è esportato fuori dai confini del Regno delle delle due Sicilie sin dal XIV secolo. Nel XVI secolo un’opera intitolata a Ferdinando il Cattolico e Carlo V faceva cenno del caciocavallo ragusano . In Sicilia esistono due varietà principali di tale prodotto il caciocavallo palermitano (o di Godrano) e il Ragusano DOP Il Ragusano è un prodotto a pasta filata. Il disciplinare (che gli attribuisce la denominazione d’origine protetta con il nome di \\”ragusano\\” tout court) limita solo alla provincia di Ragusa e a tre comuni del Siracusano (Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini) l’ambito di produzione.
Il peso va dai sei ai dodici chilogrammi. Per la salatura si fa ricorso alla salamoia. Il ragusano fresco ha crosta sottile e liscia, il colore va dal giallo paglierino al giallo intenso, il sapore è dolce ma netto, la pasta morbida. Con la stagionatura il formaggio diventa piccante e la crosta più scura: è consuetudine capparla con morchia d’olio. La pasta è naturalmente più dura e consistente, a volte con leggera occhiatura.
Apprezzato come antipasto o dessert, il ragusano stagionato è anche un eccellente formaggio da grattugia..

CAPRINO
Le origini di questo formaggio risalgono al XI secolo a.C. I formaggi caprini siciliani, sono unici nel loro genere, perché nascono da un latte di grandi caratteristiche organolettiche e nutrizionali, ottenuto da capre di razza Maltese e Girgentana che si nutrono solo ed esclusivamente di essenze spontanee, presenti in zone impervie e dunque difficilmente raggiungibili..
Oggi però la produzione è molto limitata per la progressiva scomparsa degli allevamenti.
È indicato per il consumo da tavola con sapore piccante, più deciso nel prodotto lungamente stagionato.
Il padduni rientra nel novero dei formaggi di capra e si produce in vari luoghi della Sicilia: la differenza tra il padduni e il caprino tradizionale è la forma a palla che i casari danno al primo, confezionandolo in piccole forme di trecento grammi al massimo. Di norma il prodotto viene consumato fresco.

FIORE SICANO
Nel panorama caseario dell’isola il fiore sicano fa storia a sé. È infatti l’unico formaggio molle a pasta cruda, fortemente caratterizzato da muffe autoctone, che non ha niente in comune con il fiore sardo. La leggenda vuole che questo tipo di formaggio, conosciuto dai siciliani come tumazzu ri vacca, sia nato per caso, frutto della dimenticanza di un produttore distratto. Un Decreto Legge speciale della Regione Sicilia che lo tutela e ne riconosce l’appartenenza ai formaggi storici siciliani. Grazie a questo decreto, il Fiore Sicano può continuare a essere prodotto dal latte crudo, anche se la Comunità Europea stabilisce l’obbligo del latte pastorizzato per produrre i formaggi.
È esclusivamente un formaggio da tavola.

MAIORCHINO
Le modalità di produzione sono antiche di secoli (qualcuno le fa risalire al XVII). . Il latte coagula, con l’aggiunta di caglio d’agnello o capretto, a 39°C. Dopo la rottura la cagliata è ancora riscaldata fino a raggiungere i 60°C, quindi il tutto è raccolto in una sola massa sferica che si pone in una fascera, la garbua, e quindi su un piano di lavoro denominato mastrello. Del tutto particolare la consuetudine dei casari di bucherellare la pasta con una sottile asta metallica o di legno per favorire l’uscita del siero. L’attrezzo si chiama minacino.
Dopo quarantotto ore, il maiorchino viene salato a secco, con sale marino, per un periodo di venti-trenta giorni.
La lunga stagionatura avviene in locali di pietra interrati, a volte in grotte o cantine che garantiscono temperatura costante.Il sapore ètendente al piccante il peso varia tra i dieci e i dodici chilogrammi.
È adatto per cominciare o finire un pasto ed è utilizzato in cucina in molte ricette come formaggio da grattugia per la pasta alla carrettiera, la pasta ‘ncasciata, le polpette di carne trita e altro. In un tipico antipasto viene servito a scaglie insieme a rapanelli.

PALERMITANO
Formaggio ricordato fin dal 1412 in un volume dedicato ad Alcuni calmieri palermitani del ’400. Si fa con latte vaccino intero nella provincia di Palermo e in due comuni di quella di Trapani.
Il latte coagula intorno ai 35°C per l’aggiunta di caglio di agnello: il casaro fa spurgare la cagliata servendosi di un recipiente di legno particolare, conosciuto dai siciliani come ciscia. Dopo una cottura di quattro ore la pasta viene deposta sulla cannara, un graticcio che ne consente la pressatura, quindi sospesa a un bastone di legno detto appizzatuma perché perda quanto rimane del siero. All’indomani la massa così lavorata viene tagliata e messa nel piddiaturi, un contenitore in cui è filata con l’aiuto di un bastone di legno che si chiama vaciliatuma. L’ultima destinazione è il tavoliere, dove il formaggio assume la caratteristica forma a parallelepipedo. Segue, il giorno dopo, l’immersione nella salamoia: dura dai dieci ai dodici giorni, mentre la successiva stagionatura si protrae da un mese a quattro quando si vuole un prodotto semi-stagionato, ancora di più se si preferisce un sapore più piccante. Il palermitano ha crosta sottile, liscia e di colore ambrato, pasta giallo paglierino compatta con sfogliature più evidenti con l’avanzare del tempo. L’odore è fragrante, il sapore piccante. Le forme pesano tra gli otto e i dodici chilogrammi.
Da consumare a tavola soprattutto quando è fresco, il palermitano diventa, stagionato, un ottimo formaggio da grattugia.

PECORINO SICILIANO
Prodotto in tutte le provincie dell’isola appartiene all’aristocrazia del formaggio nazionale: la denominazione d’origine protetta riconosciuta dall’Unione Europea nel 1996 ha formalmente preso atto di questa realtà.
La produzione avviene con le modalità antiche, già descritte da Aristotele e da Plinio il Vecchio (che tra i pecorini da preferire citava quello di Agrigento), Plinio il Vecchio, tra il 23 e il 79 a.C., lo include tra i formaggi nazionali nella sua “Naturalis Historia”. Ma la nascita del Pecorino Siciliano DOP sembra essere ben più antica dell’enciclopedia sul mondo naturale di Plinio il Vecchio: l’origine del tipico formaggio siciliano, infatti, pare risalire al tempo dell’arrivo dei greci Sicilia, più o meno intorno al 735 a.C.
Si parte dal latte di pecora intero messo a riscaldare in una tina con l’aggiunta di caglio d’agnello: la coagulazione avviene a 35°C circa in tre quarti d’ora. Il casaro spurga la cagliata con le mani dopo averla disposta negli appositi canestri di giunco, di cui il prodotto porta evidenti le tracce. Le successive fasi sono la scottatura (per quattro ore circa) e la salatura a secco, ripetuta in genere dopo dieci giorni. La stagionatura, in ambiente fresco, spesso in grotta o in cantina, dura almeno quattro mesi. La forma è normalmente cilindrica con facce piane o leggermente concave, la crosta bianco-giallognola con superficie rugosa, la pasta bianca o paglierina con occhiatura lieve. Sapore piccante, accentuato dal prolungamento della stagionatura. Il peso va abitualmente dai quattro ai dodici chilogrammi.
Il pecorino fresco, conosciuto in commercio come tuma, ha un consumo apprezzabile come formaggio da tavola. Il sapore è dolce, sicuramente gradevole, anche se la versione canonica esige la stagionatura. Il pecorino stagionato può essere grattugiato.

PIACENTINO O PIACINTINU
Formaggio di pecora assai pregiato, ormai prodotto quasi esclusivamente su ordinazione. Il nome non deriva dalla città di Piacenza (e a formaggi di conseguenza importati), ma dal fatto che è un formaggio \\”che piace\\”. A definirne le caratteristiche concorrono l’aggiunta di zafferano che dà colore alla pasta e soprattutto l’inserimento di granelli di pepe nella cagliata al momento in cui è deposta nei canestrini di cui il formaggio porta il segno. La procedura è per il resto analoga a quella dei pecorini tradizionali: la cagliata viene spurgata con l’aiuto delle mani, quindi scottata, messa ad asciugare sull’apposito tavoliere di legno e, all’indomani, salata a secco. L’operazione è ripetuta un paio di volte almeno, a intervalli di dieci giorni, con l’avvertenza di rispalmare sulle forme i liquidi nel frattempo perduti. Fino a quattro mesi si considera semi-stagionato, dopo i sei mesi la stagionatura si ritiene completa.
La forma è cilindrica, del peso tra i sei e i quattordici chilogrammi, la crosta giallo-bruna, la superficie rugosa, la pasta compatta e gialla per la presenza dello zafferano. Il sapore è gradevole ed esplicitamente aromatico.
Il consumo è in apertura o a conclusione del pasto.

PRIMO SALE
Si tratta del pecorino descritto precedentemente, ma è soprattutto un momento di lavorazione del formaggio e si riferisce anche ad altri tipi, per esempio al caprino: la differenza consiste nella salatura non ripetuta e basta a dare al prodotto, stagionato per un quadrimestre almeno, aspetto e sapore diversi. Il primo sale (o primu sali, in dialetto) è un formaggio leggermente piccante e si presenta con occhiature appena accennate che liberano saporite gocce di grasso.
Tipico formaggio da tavola, il primo sale non ha applicazioni in cucina.

PROVOLE
La provola dei Nebrodi e delle Madonie
Nella zona dei Monti Nebrodi la provola conserva caratteristiche che la distinguono dai prodotti simili nel resto dell’isola, soprattutto per il fatto di essere abitualmente stagionata. I tempi sono quelli del caciocavallo: tre o quattro mesi per il semi-stagionato, di più dove si vuole una stagionatura completa.
La provola dei Nebrodi ha crosta sottile giallo-paglierina, tendente col tempo al giallo ambrato. L’odore è gradevole oltre che caratteristico, la pasta è bianca con tendenza al paglierino, ma consistenza morbida ma compatta. Il sapore, leggermente acidulo, volge al piccante con la stagionatura.
Una provola particolare viene inoltre dalla regione delle Madonie: forme di piccola dimensione, crosta sottile giallo-paglierina, sapore delicato e dolce.
Formaggio classico da tavola, sia in apertura di pasto sia a conclusione, la provola viene anche proposta a fette che vengono scottate sulla griglia.

La provola siciliane
La famiglia è quella dei caciocavalli. La provola, tra i formaggi più antichi della Sicilia, differisce dal caciocavallo per la pezzatura ridotta (la forma non supera d’abitudine il peso di un chilo) e per la durata limitata della stagionatura.
Riconoscibile dalla tipica struttura a pera, la provola ha odore gradevole e sapore dolce quanto delicato; la pasta ha colore giallo paglierino.
Tipico formaggio da tavola, trova utilizzo anche in determinate ricette, per esempio nella farcitura del «falsumagru» o in certi timballi di pasta al forno.

VASTEDDA DEL BELICE
La vastedda della Valle del Belice si distingue dalla generica vastedda per la materia prima: è l’unico formaggio a pasta filata fatto con il latte di pecora. Il consumo è notevolmente aumentato negli ultimi anni e la produzione si è adeguata. La lavorazione, una volta limitata al periodo estivo, prosegue in tutte le stagioni. Il prodotto ha forma piccola e ovoidale con pasta bianca e un peso da cinquecento grammi a un chilogrammo.
Il sapore lievemente acidulo fa della vastedda del Belice un formaggio indicato come antipasto e, in genere, da tavola.

VASTEDDA PALERMITANA
La vastedda è un formaggio fresco a pasta filata con caratteristiche fondamentalmente simili a quelle del caciocavallo, di cui ripete le modalità di lavorazione. Il latte è vaccino intero, il caglio di agnello. Rispetto al caciocavallo, le differenze sono nella forma, che diventa ovoidale, e nella stagionatura, di cui si fa praticamente a meno. Salato rapidamente (dalle due alle quattro ore) in una salamoia satura al massimo, il formaggio ha solo bisogno di asciugarsi. Dopo quarantotto ore è pronto per essere consumato.
La pasta ha color avorio e il sapore è leggermente acidulo, ma quello che caratterizza la vastedda è il senso di freschezza che trasferisce al palato. Si consuma come formaggio da tavola.

 

Fondazione Giovanni Amato Onlus socio ENAT



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